Le Mille e una Novella

Season 2, 2023
È il mio secondo podcast. Finalmente l'ho fatto partire.

Scrivo una storia, poi te la racconto e viaggiamo insieme. Sei pronto? Allora facci partire premendo play! Alla fine non saranno veramente 1001 storie, perché altrimenti finirei dopo 1001 settimane, cioè più di 19 anni...

 

Seconda stagione da venerdì 22 settembre a venerdì 24 novembre 2023.
Appuntamento ogni venerdì alle h. 19:00.


Nella pagina attuale trovi la stagione 2, invece per le altre stagioni segui i link:



١٩ Il finalessandra • 24/11/2023

È tornata, proprio in tempo per il finale: in realtà non se n’era mai andata. Come faccio a perdonarla ogni volta non lo sa più nessuno, nemmeno lei. Si vergogna per avermi succhiato il sangue, si vergogna di tutto. Non ho ancora scoperto se sa andare in bicicletta, di sicuro non sa sciare, invece io tra poco riandrò a sciare. Di chi sto parlando? C’è scritto nel titolo. So che non si capisce niente lo stesso, l’ascoltatore deve perdonarmi, sono un po’ su di giri, è tornata, lei è tornata. Ardnassela, (h)ard nas se la. No, il suo nome al contrario non vuol dire molto, un NAS di hard disk se la… svigna! Sto dando i numeri, anzi i byte. La aspettavo, da tanto, non arrivava mai, non la volevo mai, e poi mi è passata affianco e ho capito che è tornata. Ieri sera ho rivisto il film che le avevo regalato per ultimo, quello con la A; sul biglietto le avevo scritto mi manchi. Mi manchi. Quando le cose smettono ci mancano, ma quando fanno male non le vorremmo mai più. La curiosità adesso è immensa, la riabbraccerò davvero? Sì.

Non ha molto senso parlare ancora, ho finito, ho finito per stavolta. Lascerei parlare il cuore, il cuore non parla. Cioè il cuore batte, forte, e quando penso a lei ancora più forte. Spero non mi vada più contro, ma piuttosto mi aiuti. Mi aiuti a continuare questo falò interno meraviglioso, in cui le persone si aiutano. Senza l’aiuto il cuore resta gelido, senza falò, senza persone. Le persone aiutano le persone. Sì, direi che questa canzone bellissima chiuderà questa stagione. Alla prossima stagione.

[In coda ☞“People Help the People” di Birdy]


١٨ Sgombri che sgombrano • 17/11/2023

Ci sono quelle spese al supermercato piene di roba, bisogna sempre mangiare del resto. Sono moglie e marito, faranno presto; una figlia e una cagnetta, cioè una seconda figlia, sono a casa ad aspettare. La cagnetta piagnucola: sa che i padroni presto dovranno tornare con la pappa. Un po’ di coccole alla cagnetta, un po’ di letture per la figlia, e poi tornano i padroni, la cagnetta è contenta, ma anche la figlia, c’è il pollo arrosto per stasera, e per la settimana il pesce, il formaggio, la verdura fresca, la frutta nuova. Mamma e figlia mettono tutto nel frigorifero, ora è bello pieno di roba. La mamma però non trova più uno sgombro dei tre, cioè una confezione di sgombri delle tre acquistate sembra mancare all’appello.

Moglie e marito allora tornano alla macchina per vedere se qualche sgombro è rimasto lì, ma niente, allora tornano al supermercato, andando alla cassa che avevano usato, per chiedere se qualcuno per caso avesse trovato degli sgombri solitari, smarriti, ma niente. Allora la cassiera dice “la signora è affamata, le manca uno sgombro fresco… vada a prendere uno sgombro freschissimo signora, cioè la confezione che ha perso, e ritorni qui”. Allora la moglie va al banco del pesce e prende uno sgombro, ripassa dalla cassiera, ringrazia, e col marito ritorna a casa. A casa scopre di aver preso una confezione di aringhe questa seconda volta, nella fretta si è pure confusa… Ma la storia non finisce qui, nel mettere le nuove arrivate nel frigorifero scopre che gli sgombri non avevano sgombrato misteriosamente, bensì erano rimasti tra due confezioni di carne, e nel dividere carne e pesce non si era accorta fossero finiti lì! A cena la storia viene raccontata alla figlia, e così il marito, la moglie, la figlia, e la cagnetta ridono, degli sgombri che sgombrano o anzi no, che si trasformano in aringhe. E tutti vissero felici e contenti, con una confezione di aringhe in più, che il marito tutto felice l’indomani prepara insieme alle seppie, da pulire dal loro nero. Le seppie pulite, insieme alle aringhe, infine compongono una frittura di pesce spettacolare. La figlia racconta la storia, è regolare.

[Una storia vera]


١٧ La domenica si mangia e basta • 10/11/2023

Stai correndo, su una strada stupidissima. Così stupida da averla nominata via “ammazzatoria”. Praticamente ha due sensi di marcia divisi da uno spartitraffico inutile, e parallelamente a ogni senso di marcia c’è il parcheggio per le macchine, che una in fila all’altra creano un pericolo immenso per le biciclette: basta che qualcuno apra una portiera a destra perché il malcapitato ciclista cada malissimo e non si rialzi più, ci lasci le penne. Sì, anche se è difficile crederci attaccata alla lunga fila di macchine parcheggiate, sulla destra, c’è una pericolosissima pista ciclabile, nemmeno rialzata rispetto alla strada, e affianco a questa pista ciclabile il marciapiede (rialzato). Basterebbe semplicemente invertire la pista ciclabile col marciapiede: facendo andare le biciclette sul marciapiede, sarebbe tutto più sicuro, i pedoni affianco alle macchine parcheggiate non rischierebbero di morire per una portiera aperta nel momento sbagliato, magari da un bambino. Senza suscitar stupore, la maggioranza dei ciclisti che transitano in quella via utilizza il marciapiede: al diavolo, hanno ragione. San Donato Milanese è piena di orrori stradali, ci sono piste ciclabili – che non possono nemmeno essere chiamate così perché sono una linea gialla tracciata per terra a un metro dal marciapiede –, che quando arriva l’autobus diventano fermate. A quel punto il ciclista di passaggio, o decide di sparire, volatilizzandosi, ed ecco a cosa serve il metaverso, oppure deve semplicemente morire perché l’autobus deve fare la fermata. Certo l’autobus può aspettare che proceda, ma che modo è questo? Che ignoranti abbiamo lasciato a gestire questo mondo!

Venendo al dunque, una domenica mentre sto correndo sul marciapiede della via “ammazzatoria”, capisco di voler attraversare sulle strisce pedonali che stanno per arrivare. Già ho in mente che la macchina che arriverà sulla strada non mi vedrà bene, a causa della fitta fila di macchine parcheggiate. Scorgo proprio una macchina, decido di fare una cosa apposta, un test: appena arrivo alle strisce pedonali fingo di buttarmi, per poi arrestarmi subito. L’autista si ferma, allora procedo a correre, ma pensate un po’, dopo aver attraversato mi suona, anche?! Già per miracolo hai frenato, andavi sparato, oltre il limite di velocità, hai anche da dire? È un vecchio signorone con l’Audi, la moglie affianco, ovvio, abbassa il finestrino e mi dice che “non si corre…” e io gli rispondo “è vero, non si corre di domenica, di domenica si magna e basta!”. I signori che stanno passeggiando lì intorno se la ridono, la prossima volta quell’idiota, per evitare di farsela addosso per la sensazione di stare uccidendo una ragazza di quarant’anni più giovane, andrà più piano? Test fallito. State attenti, devono andare a mangiare. La domenica si mangia e basta.

[La vera storia di via Antonio Gramsci a San Donato Milanese]


١٦ Giorgio Seganos • 03/11/2023

Giorgio Seganos è un uomo, se si può dir così, e questa è la sua storia. Il sabato e la domenica si alza dal letto alle 12 minimo, ma non perché sia un discotecaro, bensì un pigro, uno sfaticato. Ha più di trent’anni, nessun hobby e uno stipendio, ma nessuna voglia di lasciare la casa della mammina e del papino. Non si sa se più per il fatto che non ha nessuna presunta spasimante, o perché non sa nemmeno allacciarsi le scarpe. Più la seconda delle due, ma state tranquilli, usa dei mocassini senza lacci. I genitori non lo lasciano mai da solo, altrimenti può farsi la popò addosso, ha anche paura della luce. Sì della luce, non del buio, per questo esce davvero poco, e la sua camera rimane per la maggior parte del tempo tappata, con le tapparelle completamente abbassate. Di cognome fa Seganos non per nulla, la sua attività più audace è quella, quella che pensate. Ma una leggenda narra che non sia incredibile neanche in quella, però è un vero porcone.

Il narratore non esagera, non è nel suo interesse, è il singolare protagonista ad adattarsi al semplice raccontare. Ogni cosa che fa è così stupida da suscitare pena, sconforto. O quasi… Ce n’è una che invece fa proprio ribrezzo. Il narratore non esagera, è che semplicemente dopo una breve ricerca ha scovato che Giorgio Seganos, nella sua finta innocenza di bambino cresciuto, è un pervertito trafficante di cose. Non posso dire di quali cose dai, intendo quelle cose che ci sono nella congiunzione delle gambe delle donne. Sì, le chiameremo cose. Le cose creano delle allucinazioni nella testa porconica di Giorgio, e Giorgio si perde, non capisce più niente, non capisce quanto è schifoso quello che pensa, quello che fa. Colleziona donne nell’immaginazione, tramite le immagini delle loro parti “migliori”, svestite, che possono essere il rotondo retro, il doppiamente rotondo davanti, il sopra, il sotto… e poi le sfoglia e ha le sue allucinazioni. Non c’è più da chiedersi perché non è pieno di spasimanti, il suo approccio è deviato dal suo cervello marcio, è deviato dall’immagine distorta che si è creato delle donne. È un porcone, un insulto all’universo femminile, all’universo in generale. Giorgio Seganos è un uomo, se si può dir così, e questa è la sua storia.

[Tratto da una storia vera]


١٥ Mezzi molesti • 27/10/2023

Molte volte uscendo dal capolinea della metropolitana perdo la coincidenza, ed essendo che l’autobus è appena andato via, mi metto a camminare fino al liceo di Via Martiri di Cefalonia, per poi salire sull’autobus successivo e andare a casa. E non lo faccio perché mi piaccia particolarmente quel luogo, ma dritto per dritto si arriva precisamente in quel punto prima dell’arrivo dell’autobus successivo. È poco più di un quarto d’ora di camminata, che quando fa freddo serve anche per non congelare stando fermi impalati in fermata. Fare questo però ha senso solo quando non si è in orari inavvicinabili, come tra le 13 e le 14, perché a quell’ora continuano a uscire gli studenti, che riempiono fino a scoppiare i mezzi pubblici. Martedì mattina, al ritorno, ho fatto il grave errore di pensare che a metà dell’ora critica non ci sarebbero stati problemi, ma non è andata così; entro nell’autobus per miracolo, spingendo un pochino, tra l’altro la camminata mi ha abbastanza accaldata: sembra far freddo ma invece ti sei coperto troppo perché in realtà non fa freddo, è questo il nuovo mondo.

Sei schiacciata tra i ragazzini, ma non è nulla, si sopporta, non avresti aspettato l’autobus successivo, soprattutto dopo che avevi perso anche quello precedente a questo, ti eri fatta tutta la camminata di un chilometro e mezzo e via dicendo. Tuttavia, a un certo punto, ti senti tirare da dietro, ti senti bloccata con la testa, sei entrata per ultima e sei sulla porta, fai un pensiero poco entusiasmante ma che purtroppo si rivela corretto: hai i capelli, cioè la coda, incastrati tra le porte dell’autobus. Allora cerchi di mantenere la calma, e di aspettare la fermata successiva, non è così lontana, ma quel minuto diventa interminabile, la sensazione è bruttissima, un autobus in movimento ti sta tirando i capelli, ed è pure pieno zeppo, senti una goccia di sudore scendere sulla schiena, lungo la spina dorsale. Finalmente l’autobus si ferma, si aprono le porte, scopri che non è successo niente ai tuoi capelli, perché per fortuna le porte hanno una chiusura gommata, gentile, ricominci a respirare, ma non vedi l’ora di arrivare a casa, ormai ti reggi anche a fatica col peso di 7 ragazzini che ovviamente ti si appoggiano tutti addosso. Non credi a cosa ti è successo, ma stai bene. Racconterai questa storia e non crederanno alle tue parole.

[Racconto autobiografico della giornata del 24/10/2023]


١٤ Violazione della privacy • 20/10/2023

Che lo si dica in British English priv-a-see, o in americano, pry-va-see, la privacy è una questione chiara. Se procuri a un qualsiasi personaggio un mio documento privato, che non lo riguarda neanche lontanamente, sei fuori dai giochi. Ma non sono giochi né capricci le faccende del Garante, non si va semplicemente indietro di qualche casellina come con le ochette del famoso gioco, e nemmeno in punizione dietro alla lavagna: si paga una multa severa, salata, almeno quanto la pietanza di quando ti si apre il tappo della saliera esattamente nel piatto. Una cascata, una scivolata che imita una valanga. Non è più possibile riavvolgere il filo e sistemare… c’è un’unica cosa da fare, bisogna pagare. E soprattutto nel caso di una violazione della privacy sanitaria, dove i dati sono più sensibili, e ancor di più se si tratta di una violazione della privacy sanitaria che ingloba dati della sfera psicologica. Lo dice ogni psicologo, ogni psichiatra che si rispetti: a ogni appuntamento, a ogni colloquio, le cose che verranno fuori qui, per il segreto professionale rimarranno solamente qui.

Magari i miei dati fossero rimasti protetti come mi era sempre stato detto, non è andata affatto così. Ma prima o poi il Garante prende per il collo i malfattori, li ferma al muro tenendoli sollevati, a un’altezza rischiosa, e un bel giorno li fa cadere nel salasso che meritano. Le vittime di una violazione della privacy sanitaria si sentono vulnerabili, come nude a Natale nel mercatino di Bolzano, dove è impossibile aspettarsi che passino inosservati, che i loro dati possano fuggire a rivestirsi insieme a loro, e hanno freddo, un freddo assassino, che congela il cuore, la fiducia, il cervello, la dignità. Le vittime di violazione della privacy devono aspettare con pazienza ma sanno che il loro simbolico risarcimento arriverà. Ci sarà per loro quel giorno, magari sempre di Natale, magari del 2025, in cui mostreranno con gioia un regalo inatteso che chi li ha offesi tempo prima ha finalmente dovuto ordinargli. Mi vedo nel futuro con 10 o 20 o 30mila euro in tasca, anzi 30mila meno 4000. Il Vision Pro potrà essere uno sfizio raggiungibile, una simbolica coccola a nascondere le sofferenze tempo addietro subite ma ormai dimenticate. Sopportare un mondo di vermi è difficile, te ne hanno dette di ogni, anche che sei così ritardata che dovresti essere rinchiusa in un centro psichiatrico per la vita. Ma tu sai che la tua vita è speciale, e in essa non si paleserà solo un visore, ma molte cose, un compagno di vita reale, leale davvero. La privacy è reale, leale, ma per me diventerà persino speciale. Ogni sogno è accompagnato da molte fortune.


١٣ La mia vampira • 13/10/2023

C’era una volta una professoressa di Scienze. Già dal primo anno di liceo si innamora di una ragazza che ha in classe, sia per l’intelligenza della ragazza sia per altri dettagli che racconteremo proprio adesso. La ragazza si accorge troppo spesso dei suoi sguardi, delle attenzioni particolari che ha per lei. Un giorno, dopo la spiegazione dei gruppi sanguigni, la professoressa chiede a qualche studente se sa il proprio, e ovviamente pone la domanda anche alla ragazza, per scoprire che possiede il gruppo 0 Rh negativo. La professoressa, dando tanta importanza alla genetica, rimane incantata dalla risposta, e da quel giorno la ragazza capisce sempre più che gli occhi della professoressa fossero interessati a lei non solo perché la trovasse molto intelligente, ma perché, oltre al suo fisico atletico, le piacesse anche il suo sangue “raro e pregiato”. Allora la ragazza si ricorda anche di una lezione antecedente, riguardante la pelle, la melanina, in cui la professoressa aveva detto esplicitamente davanti a tutta la classe che la ragazza avesse una carnagione chiarissima, alludendo al fatto che sostanzialmente gliela invidiasse, avendo una carnagione molto scura lei. Presumibilmente la ragazza è un fototipo 2 o al massimo 3, aveva ragione. Ma collegando le due immagini la ragazza sentiva sempre più semplice associare il comportamento della professoressa a quello di una vampira, che la osservava spesso, mirando alla sua pelle chiara e giovane, e al suo sangue.

La mia vampira è quella professoressa di Scienze, e non mi stupisco più di come mai spesso io abbia avuto bisogno di prendere un integratore di ferro, proprio quando c’era lei a morsicarmi le braccia, le gambe, e il collo con gli occhi. Sento quelle ferite addosso. Di recente ha anche provato a imprigionarmi perché fossi in un posto facile da raggiungere quando durante la notte si trasforma in una vampira assetata, ma non ce l’ha fatta, e ora sta impazzendo ed è scontenta. Ma i suoi sguardi assetatissimi sulle mie braccia, sulle mie gambe, sul mio collo, anche solo tramite il pensiero, rimangono ogni giorno profondi, indelebili. La mia vampira è una professoressa di Scienze di quarant’anni più grande di me, che ha voluto succhiarmi l’anima, ma quell’anima adesso l’avvelena. Il sangue buono delle persone buone, in quelle cattive diventa cattivo, e come veleno uccide.

[Tratto da una storia vera]


١٢ La gomma, la collega G. • 06/10/2023

Due settimane fa mi trovavo come al solito in una di quelle giornate fittissime, senza prendere fiato stavo facendo questo, quello, e quell’altro, tutto di corsa per poi prendere l’autobus. Avevo anche un video in upload su iCloud, cercavo di spingere la barra di caricamento sul display con gli occhi. Miracolosamente in tempo, scendo in fermata, corro, prendo l’autobus. Mi riposo, pensando a come sarà rivedere Mario, è sabato, pranzeremo insieme e poi faremo un giro. Tutt’a un tratto succede l’imprevisto, si sente un botto, enorme, repentino, fa spaventare molto me e tutti i passeggeri. Ma nell’autobus non si scorgeva nessuna modifica, nessuna pistola,… Il tempo di pensare un attimo e mi sento di rispondere con sicurezza alle domande dei passeggeri ancora dubbiosi: “cosa è successo?”, “è scoppiata una gomma dell’autobus”.

Così sono costretta a prendere un passaggio da mio padre, che per fortuna stava già per passare di là con la macchina. Di sabato gli autobus passano ogni 40 minuti nel mio paese, troppo, soprattutto per quanto fremevo dalla voglia di rivedere Mario, di mangiare la pizza insieme, di ridere. L’autobus si sa ha i suo pro e i suoi contro, come ogni cosa. Un pro importantissimo è quanto si presta alla lettura, per me anche dalle 6:57 di mattina, come l’altro ieri, che infatti mi sono seduta e sono partita, sia letteralmente sia a leggere Don Chisciotte della Mancia. Un altro pro è la tranquillità di farsi portare con l’autobus negli orari non di punta. Sempre l’altro ieri, poco dopo le 12, al ritorno, non stavo leggendo ma bensì ascoltando uno dei miei podcast tech settimanali americani fissi, fingendo di ammirare, a destra e a sinistra, il paesaggio già largamente conosciuto. Ad un certo punto vedo qualcosa di incredibile e comincio a ridere nel silenzio dell’autobus per 10 minuti buoni. La collega G., con un atteggiamento abbastanza sconsolato, stava imboccando viale De Gasperi in bicicletta. Non l’avevo mai vista in bicicletta, ma sempre in macchina; ripensandoci in effetti la sua macchina da tempo era scomparsa dal parcheggio della scuola. Ho rivoluzionato i miei assassini, i loro complici, e tutti quelli che hanno osato anche solo sfiorarmi. La collega G. un giorno rise di me con la mia assassina, me ne accorsi, ma non so perché lo fece: non mi sembra strano avere un cuore. Quel che conta è che adesso rido io. E il detto si sa bene, non devo starlo a ripetere.

[Fatti realmente accaduti]


١١ Il peluche, la premiazione • 29/09/2023

La mamma mi sta preparando, già, di domenica funziona così, bisogna andar di qua, di là, da questi e da quelli… si capisce che è una stupidata ma cerchiamo di fingere una qualche partecipazione; sono ancora piccola. Siamo diretti come al solito in un posto pieno di persone, di bambini come me ma che non capisco: se piangi, almeno fallo per una ragione interessante, altrimenti le tue lacrime perderanno valore, ci diranno ancora una volta che la nostra nuova generazione è un fallimento, e così via. Sia chiaro alcuni bambini invece mi piacciono tanto, però per esempio una volta passai una strana mattinata con Elena, continuo a trovarla molto in gamba, ma quel giorno ci trovavamo all’asilo, con due peluche identici, o meglio, per aspetto identici, ma per noi due diversissimi e con due accuditrici diverse, Elena e io, qualcosa da non sottovalutare. Si può capire che ad un certo punto ce li siamo scambiati e stava partendo una lotta greco-romana perché ognuna fosse certa di tornare a casa con il proprio. Secondo me avevo ragione io, secondo lei aveva ragione lei, insomma tutte e due rivendicavamo il possesso dello stesso peluche. Non so come finì, in sostanza ricademmo tra i bambini che dicevo di non capire poco fa.

Ma insomma, stavamo andando a questa sorta di festa, una di quelle cose colorate in cui si mangia troppo, quando per tutta la settimana la mamma ti ha continuato a dire che non va bene mangiare questo e quest’altro. Bah, se potessi esprimerlo direi che per me sono strani questi genitori. E allora dopo aver mangiato pizzette, olive, arachidi, biscotti, pasticcini, torte, e chi più ne ha più ne metta, il silenzio. Ormai avevo capito c’entrasse mio padre, perché si era messo a parlare con altri uomini molto simili a lui, in forma, coi polpacci definiti, molto abbronzati in faccia… Ma nessuno poteva sapere che spesso aveva portato a casa le sue coppe vinte in alcune gare amatoriali di ciclismo, e che il gioco consisteva nel darmele, fare qualche foto fingendo fossi io ad averle vinte, eccetera. Il silenzio fu seguito da un signore anziano che iniziò a parlare al microfono, tutti lo guardavano, io guardavo tutti. Poi al piccolo palco si avvicinò un signore, uno di quelli simili a mio padre, con le gambe da ciclista: non ci ho messo molto a capire che una volta che il signore anziano avrebbe smesso di parlare, avrebbe fatto arrivare la sua medaglia, il riconoscimento per l’anno sportivo. Nemmeno il tempo di prevederlo che mi metto ad applaudirlo, da sola, con tutta la forza che ho. Tutti si voltano verso di me stupefatti, increduli potessi aver intuito tutto senza suggerimenti e prima del tempo a quell’età.

[Storia autobiografica]


١٠ Introduzione, seconda stagione ☾ • 22/09/2023

Servirebbe una seconda introduzione di riflessione, giusto per accertarsi di sapere cosa vogliamo fare. Ricominciare non è mai facile. È come rituffarsi nell’acqua e ricordarsi che si galleggia, e poi provare ad avanzare, con l’attrito dell’acqua che si oppone. Ma alla fine è semplice, basta iniziare e poi si scivola: se si parte e si pazienta si arriva dovunque. Non si deve pretendere di chiedere continuamente dove stiamo andando, non stiamo andando da nessuna parte. Il cuore ci salva da un’esistenza fredda e senza meta. Però dobbiamo avere cuore, se non abbiamo cuore ci sembrerà inutile il dolore, senza senso l’aspettare. È giusto non sapere la destinazione ma il viaggio deve avere l’ambizione di arrivarci, alla destinazione, perché per capirci qualcosa dobbiamo sperare ci siano cose grandi, lì avanti; ma grandi davvero, sempre più grandi di quello che può essere grande, sempre più belle di quello che può essere bello.

Se non mi sono spiegata bene, vi siete persi, e tutto questo non c’azzecca niente, bene; volevo farci smarrire per poi farci ritrovare il percorso, e se non troviamo il percorso sarà il percorso a trovare noi! Quante volte si dice “non avrei mai immaginato sarebbe andata così”, in positivo o in negativo cambia poco. Non scegliamo del tutto noi, non credete? È probabile non lo crediate, ma forse sarebbe presuntuoso ammettere di avere pieno controllo. Una vita non ha controllo da quando nasce a quando muore, e se ce l’avesse non morirebbe. E la chiamiamo vita ma potremmo chiamarla in qualsiasi altro modo, di fatto non sappiamo veramente cos’è. Un flusso inarrestabile, come questo in cui siamo finiti anche io e te, e chiunque abbia ascoltato. Ci sentiamo presto, altre storie racconteranno la vita, o questa cosa che chiamiamo vita e non sappiamo perché. Grazie.