«Se puoi vedere, guarda. Se puoi guardare, osserva.»
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«Nel letto accanto, appoggiato alla parete, anche il ragazzino dormiva, Ha fatto come me, pensò la moglie del medico, gli ha dato il posto più riparato, ben fragili muraglie saremmo, un semplice sasso in mezzo alla strada, con la sola speranza che il nemico inciampi, quale nemico, qui non verrà nessuno ad attaccarci, potremmo aver rubato e assassinato, ma non verrebbero certo ad arrestarci, quel tipo che ha rubato la macchina non devʼessere mai stato tanto sicuro della propria libertà, siamo talmente lontani dal mondo che fra poco cominceremo a non saper più chi siamo, neanche abbiamo pensato a dirci come ci chiamiamo, e a che scopo, a cosa ci sarebbero serviti i nomi, nessun cane ne riconosce un altro, o si fa riconoscere, dal nome che gli hanno imposto, è dallʼodore che identifica o si fa identificare, noi, qui, siamo come unʼaltra razza di cani, ci conosciamo dal modo di abbaiare, di parlare, il resto, lineamenti, colore degli occhi, della pelle, dei capelli, non conta, è come se non esistesse, io vedo ancora, ma fino a quando.»
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«La colpa è mia, piangeva, ed era vero, non si poteva negare, ma è pur certo, se può servirle da consolazione, che se prima di ogni nostro atto ci mettessimo a prevederne tutte le conseguenze, a considerarle seriamente, anzitutto quelle immediate, poi le probabili, poi le possibili, poi le immaginabili, non arriveremmo neanche a muoverci dal punto in cui ci avrebbe fatto fermare il primo pensiero.»