Diario di una scrittrice

Virginia Woolf

«Io vivo nell’intensità.»

 

 

«Quelli che odiano le donne mi deprimono.»

 

 

«Potrei, con l’andar del tempo, imparare che cosa si può farne, di questa materia di vita slegata e vagante; trovarvi un altro uso oltre quello per cui la impiego adesso, tanto più consapevolmente e scrupolosamente, nella narrativa.»

 

 

«Voglio leggere le lettere di Byron, ma devo continuare La principessa di Clèves. È da molto tempo che questo capolavoro mi pesa sulla coscienza. Parlare di narrativa e non aver mai letto un simile classico! Ma leggere i classici è, in generale, lavoro duro. Specialmente i classici come questo, che sono classici proprio per la perfezione del gusto, della forma. Contegno e linguaggio, impeccabili: non un capello fuori posto. La bellezza mi sembra grandissima, ma difficile da apprezzare. Tutti i personaggi sono nobili. L’andatura è maestosa. L’apparato un po’ ingombrante. Ci sono storie che devono essere narrate, lettere che vanno lasciate cadere. È l’azione del cuore umano e non del vigore o del fato che stiamo osservando. Ma le storie di nobili cuori umani hanno anch’esse i loro movimenti, impenetrabili in altre circostanze.»

 

 

«Il modo per spostarsi pian piano di nuovo verso il lavoro è questo. Primo: esercizio moderato all’aria aperta. Secondo: leggere buona letteratura. È un errore credere che si possa produrre letteratura dalla materia grezza. Bisogna uscire dalla vita – sì, ecco perché mi è tanto dispiaciuta l’irruzione di Sydney – bisogna farsi alieni da tutto: concentratissimi, tutti su un punto; e senza dover più ricorrere alle parti sparse del proprio carattere, avere dimora stabile nel cervello.»

 

 

«A quarant’anni comincio a imparare il meccanismo del mio cervello: come ricavarne la maggior quantità di piacere e di lavoro. Il segreto è, credo, fare sempre in modo che il lavoro sia piacevole.»

 

 

«Ma sono serissima quando affermo che nulla mi smuove dalla mia decisione di continuare, o altera il mio piacere; e così, qualunque cosa accada, se anche la superficie potrà essere agitata, il nocciolo è sicuro.»

 

 

«Ma tutto questo è un grande errore. Schermi come questo mi escludono. Non avere schermi, perché gli schermi sono fatti dei nostri integumenti; e vai dritta alla cosa, che non ha nulla in comune con uno schermo. L’abitudine di alzare schermi, tuttavia, è così universale che probabilmente preserva il nostro equilibrio mentale. Senza questo espediente di escludere la gente dalla nostra comprensione forse ci dissolveremmo; ogni separazione sarebbe impossibile. Ma l’eccesso sta negli schermi; non nella comprensione.»

 

 

«Quanto al mio nuovo libro, mi tratterrò dallo scriverlo finché non l’avrò urgente in me; finché non sarà pesante nella mia mente come una pera matura: pendulo, pregno, che chiede di essere colto altrimenti cadrà.»

 

 

«La vita, insomma, è molto solida o molto instabile? Sono ossessionata da questa contraddizione. Dura da sempre, durerà sempre, affonda giù fino alle radici del mondo, quest’attimo in cui vivo. Ed è anche transitorio, fuggevole, diafano. Passerò come una nuvola sulle onde. Forse può darsi che, pur cambiando, pur fuggendo uno dietro l’altro così rapidi, così rapidi, abbiamo – noi esseri umani – una qualche successione e continuità, e che la luce ci attraversi. Ma cos’è la luce? Sono così turbata dal carattere transitorio della vita umana che spesso mi succede di dare un addio, dopo aver cenato con Roger, ad esempio; o di calcolare quante volte vedrò ancora Nessa.»

 

 

«Bisogna correggere molto attentamente Una stanza tutta per sé prima di stamparlo. E così mi sono immersa nel mio gran lago di malinconia. Dio com’è profondo! Che natura malinconica la mia! L’unico mezzo per stare a galla è lavorare. Un appunto per l’estate: devo prendere più lavoro di quello che mi è possibile sbrigare. No, non so da che cosa dipenda. Appena smetto di lavorare sento di affondare giù, giù. E come sempre sento che affondando ancora un poco arriverei alla verità. Questo è l’unico compenso: una specie di nobiltà. Solennità. Devo arrivare a convincermi che non c’è niente; niente per nessuno di noi. Lavorare, leggere, scrivere non sono altro che artifici; idem i rapporti con la gente. Sì, neppure avere dei figli servirebbe.»

 

 

«Mi viene da pensare che questo stato, questo mio stato di depressione, è lo stato abituale della maggior parte della gente.»

 

 

«Ieri sera, attraversando Richmond in macchina, pensavo qualcosa di molto profondo sulla sintesi della mia personalità: come soltanto lo scrivere la controlla; come nulla è completo se non scrivo: ora ho dimenticato quello che mi pareva così profondo.»

 

 

«Scrivo quest’appunto per attestare i miei alti e bassi, dei quali spesso non parlo neppure, benché siano meno violenti, mi pare, di una volta. Ma che sensazione familiare: calpestare la strada col cuore stretto dalla tristezza e dal dolore; e il desiderio di morire, al vecchio modo, tutto per due parole, direi, avventate.»

 

 

«Non sarò “famosa” o “grande”. Continuerò ad azzardare, a cambiare, ad aprire la mente e gli occhi, rifutando di lasciarmi incasellare e stereotipare. Ciò che conta è liberare il proprio io: lasciare che trovi le sue dimensioni, che non abbia vincoli.»

 

 

«Sono una outsider. Posso fare a modo mio: sperimentare con la fantasia come meglio mi piace. Il branco può ululare quanto vuole, ma non mi prenderà mai. E se anche il branco – recensori, amici, nemici – non bada a me o mi prende in giro, sarò ugualmente libera.»

 

 

«Quando si legge la mente è come un’elica d’aeroplano, invisibilmente veloce e inconscia, uno stato che si raggiunge di rado.»

 

 

«È l’età, o che altro, a rendere la vita in solitudine qui (niente Londra, niente visite) simile a una lunga estasi di piacere?… Tendo verso uno stato di pace, di sensibilità percettiva; non intellettuale.»