La tentazione di esistere

Emil Mihai Cioran

«Non c’è opera che non si ritorca contro l’autore: il poema annienterà il poeta, il sistema il filosofo, l’avvenimento l’uomo d’azione. Colui che, rispondendo alla propria vocazione e portandola a compimento, si agita dentro la storia, è causa della propria rovina; l’unico a salvarsi è chi sacrifica talenti e doni per potere, sgombro della sua qualità di uomo, sprofondare nell’essere.»

 

 

«Invece di lasciare che il tempo ci stritoli lentamente, abbiamo creduto bene di rincarare la dose, di aggiungere ai suoi istanti i nostri.»

 

 

«Io mi levo contro il propagarsi della menzogna, contro coloro che fanno sfoggio della loro pretesa “salvezza” e la puntellano con una dottrina che non proviene dal loro intimo. Smascherarli, farli scendere dal piedistallo dove si sono issati, metterli alla gogna, è questo un compito cui nessuno dovrebbe restare indifferente. Perché ad ogni costo va impedito di vivere e morire in pace a coloro che hanno troppo buona coscienza.»

 

 

«Se vogliamo recuperare la nostra libertà, ci converrà deporre il fardello della sensazione, non reagire più al mondo attraverso i sensi, rompere i legami. Ora, ogni sensazione è legame, il piacere come il dolore, la gioia come la tristezza. L’unico ad affrancarsi è lo spirito che, puro d’ogni commercio con esseri o oggetti, si esercita alla propria vacuità. Quanto alla felicità, la maggioranza di noi riesce a resisterle; l’infelicità è ben altrimenti insidiosa. L’avete assaporata? Non ne sarete mai sazi; la cercherete con avidità e, preferibilmente, là dove non si trova; e allora là la proietterete, visto che senza infelicità tutto vi sembrerebbe inutile e opaco. Ovunque essa si trovi, scaccia il mistero o lo rende luminoso. L’infelicità che è sapore e chiave delle cose, accidente e ossessione, capriccio e necessità, vi farà amare l’apparenza in ciò che questa ha di più potente, di più durevole e di più vero, e lì vi terrà per sempre avvinti perché, “intensa” per natura, è, come ogni “intensità”, servitù, assoggettamento.»

 

 

«Se non avete sufficiente forza per demoralizzarvi insieme a quest’epoca, per cadere altrettanto in basso e andare altrettanto lontano, non lamentatevi di non essere compreso da essa. E soprattutto non credete di essere un precursore: non ci sarà luce in questo secolo. E se poi vi sta a cuore apportare qualche innovazione, frugate allora nelle vostre notti, o disperate della vostra carriera.»

 

 

«Il nostro sangue è troppo tiepido, le nostre bramosie troppo ammaestrate. Nessuna possibilità di andare oltre noi stessi. Persino la nostra follia è troppo moderata. Abbattere le barriere dello spirito, farlo vacillare, desiderarne la rovina – questa è la sorgente del nuovo! Così com’è, è restio all’invisibile e non percepisce se non quello che già sa. Per aprirsi al vero sapere lo spirito deve smembrarsi, infrangere i propri limiti, sperimentare le orge dell’annullamento. Non saremmo destinati all’ignoranza se solo osassimo portarci al di sopra delle nostre certezze e di quella timidezza che, impedendoci di compiere dei miracoli, ci incatena in noi stessi. Come siamo privi dell’orgoglio dei santi!»

 

 

«A qualsiasi livello si svolga, la nostra vita ci apparterrà realmente solo in proporzione agli sforzi intrapresi per distruggerne le forme apparenti. La noia, la disperazione, l’abulia stessa ci aiuteranno in ciò, a condizione tuttavia di farne un’esperienza totale, di viverle fino all’attimo in cui, rischiando di soccombervi, ci rialziamo e le trasformiamo in sostegni della nostra vitalità. Il peggio è ciò che vi è di più fecondo per colui che sappia augurarselo. Giacché non è la sofferenza che rende liberi, ma il desiderio di soffrire.»

 

 

«L’amore, fino a un certo punto, ci distrugge, ma attraverso quali sensazioni di dilatazione e di orgoglio! E la morte ci distrugge del tutto, ma per mezzo di quali fremiti! Sensazioni e fremiti in virtù dei quali trascendiamo l’uomo che è in noi e gli accidenti dell’io. Poiché l’uno e l’altra ci definiscono solamente in quanto proiettiamo in essi i nostri desideri e i nostri impulsi, in quanto concorriamo con tutte le nostre forze all’ambiguità della loro natura, sono necessariamente inafferrabili non appena li guardiamo come fossero delle realtà esterne, offerte al gioco dell’intelletto. Ci si getta nell’amore come nella morte, non li si fa oggetto di meditazione: li assaporiamo, ne siamo complici, li soppesiamo.»

 

 

«Ciascun essere è il proprio sentimento della morte.»

 

 

«Dopo aver fatto della morte un’affermazione della vita, trasformato il suo baratro in una finzione salutare, esauriti i nostri argomenti contro l’evidenza, il marasma ci aspetta in agguato: è la rivincita della nostra bile, della nostra natura, di quel dèmone del buon senso che, un tempo sopito, si desta per denunciare l’insulsaggine e il ridicolo della nostra volontà di accecamento. Un intero passato di visione spietata, di complicità con la nostra perdizione, di consuetudine con il veleno delle verità, e tanti anni passati a stare a guardare le nostre spoglie da cui trarre il principio del nostro sapere! Tuttavia, dobbiamo imparare a pensare contro i nostri dubbi e contro le nostre certezze, contro le nostre ubbie onniscienti, dobbiamo soprattutto, forgiando in noi un’altra morte, una morte incompatibile con le nostre carogne, acconsentire all’indimostrabile, all’idea che qualcosa esista… Il Nulla era senz’altro più confortevole. Com’è difficile dissolversi nell’Essere!»